Villa Castelli è una piccola località in collina che si affaccia sul Tavoliere delle Puglie. E’ decisamente molto distante da Carrara, e non solo dal punto di vista geografico. Diversa è l’aria che si respira, diverso il clima, diversa l’architettura, la cucina, diverso il dialetto. Eppure c’è un minimo comune denominatore a far da collante fra due mondi apparentemente così dissimili: ci sono degli italiani incazzati neri che non ne possono più di mettere la loro vita, il loro futuro e quello dei loro figli nella mani di biechi affaristi senza scrupoli, che non ne possono più di essere presi per il culo ogni giorno dai prestigiatori dell’informazione, abili nel fare apparire e sparire le notizie a seconda delle convenienze dei loro padroni.
Questi italiani, questi cittadini che vedono in internet la loro speranza, questi nodi della rete che compiono il miracolo di trasformare i bit in piazze affollate di gente che parla, che si scambia informazioni al di fuori del grande incantesimo di massa… Queste persone sono il nostro futuro. Grazie. Non mollate mai.
Riporto una sintesi della serata di Villa Castelli, dove sono stato invitato a parlare di informazione libera, invitato del nodo della rete Rocco Alò, assessore comunale alla cultura e allo spettacolo.
Villa Castelli (Brindisi) – 8 agosto 2009
L’informazione
L’informazione. La diamo per scontata. Ma ogni nostra scelta deriva da ciò che conosciamo: gireremo a destra se la nostra cartina dice che la nostra meta è a destra, e viceversa. L’informazione controlla ogni nostra scelta. E’ veramente cruciale. Una volta, nelle piccole comunità preistoriche, era difficile falsificare le informazioni, perché si stava tutti in una grotta. Anche nei piccoli villaggi, successivamente, quello che succedeva era sotto agli occhi di tutti. Poi lentamente, con l’allargarsi delle comunità, con la comparsa di castelli, palazzi, di un Re, di vassalli e valvassori…arrivarono gli araldi. Gli araldi davano le informazioni. Il popolo era fuori dalle mura e ogni tanto passavano ad annunciare l’editto del Re. Passavano con i cavalli: ‘Udite, udite!”. Il popolo iniziò così ad avere informazioni che potevano sì non corrispondere esattamente al vero, ma non erano comunque impossibili da verificare, perché la distanza da colmare non era eccessiva. Qualcuno che lavorava a stretto contatto con la corte del Re, di riffa o di raffa, c’era sempre e in qualche modo si poteva avere un riscontro. A mano a mano che la comunità umana si è sviluppata, allargandosi fino a ricoprire virtualmente ogni angolo del pianeta, i centri del potere si sono sempre più allontanati dai nostri occhi e dalle nostre orecchie. Noi oggi parliamo di persone e di fatti che non conosciamo, di cui non sappiamo assolutamente nulla. E quali sono i nostri occhi, le nostre orecchie, quali gli organi sensoriali che ci consentono di conoscere la realtà e decidere di conseguenza? I media, che non a caso sono stati definiti mass media: organi di informazione di massa. E’ semplice intuire che se per sfortuna qualcuno mette le mani sugli organi di informazione di massa, è finita! Non siamo in grado di conoscere più nulla, se non quello che viene deciso di raccontarci.
La P2
Chi controlla i media controlla il potere. E’ una banalità che forse non era così ovvia tanti anni fa, quando a dirlo era un signore di nome Licio Gelli. Costui, circa trenta o quarant’anni fa, stilò un documento che ebbe l’ardire di chiamare Piano di Rinascita Democratica, dove il termine “democratica” confonde un po’ le idee. Era una scaletta di penetrazione delle posizioni chiave delle istituzioni. Coinvolgeva a vario titolo, in maniera trasversale, cardinali, politici influenti, professionisti, giornalisti, militari. Cercava di condizionare il tessuto sociale in maniera clandestina per arrivare a detenere il potere. Guarda caso, ai primi punti di questa scaletta c’era proprio scritto che era necessario controllare gli organi di stampa. Si diceva che bisognava coinvolgere i giornalisti più influenti, guadagnare le posizioni chiave nella Rai-Tv, costruire un network di televisioni via cavo, acquisire le testate giornalistiche più diffuse… Tutte cose che poi, via via, nel corso degli ultimi quarant’anni si sono verificate. Il Piano di Rinascita Democratica è stato scoperto il 17 ottobre 1981 a Villa Wanda, la residenza di Licio Gelli. La loggia massonica deviata di cui il documento rappresentava una specie di vangelo, era denominata Propaganda Due, meglio conosciuta come P2. Nei media tradizionali non se ne parla mai, eppure uno degli accoliti che seguivano i dettami del grande venerabile maestro Licio Gelli era il Discepolo con la tessera 1816, all’anagrafe Berlusconi Silvio. Lo stesso Berlusconi Silvio che oggi è Presidente del Consiglio, dopo avere eseguito punto a punto i passi della scaletta descritti nel Piano di Rinascita: la creazione di un circuito di televisioni (Fininvest), l’acquisizione degli organi di stampa (Mondadori, attraverso la Guerra di Segrate), l’attacco alla magistratura, la separazione delle carriere, la richiesta di test attitudinali per le carriere dei magistrati, l’esercito nelle strade, il nucleare… Il culmine del Piano di Rinascita consisteva nella creazione di due grossi movimenti che avrebbero dovuto inglobare tutte i partiti minori, e che avrebbero dovuto dare l’illusione di rappresentare la totalità dei cittadini, fingendo la contrapposizione di interessi e ideologie politiche tipica della dialettica tra governo e opposizione. Con il veltrusconismo anche questo obiettivo è ampiamente centrato. Tant’è vero che l’opposizione in questo paese ormai non esiste più.
Che le cose siano andate esattamente così lo ha candidamente confermato lo stesso Gelli. In una intervista rilasciata a Repubblica, Gelli dichiarò: “Guardo il Paese, leggo i giornali e penso: ecco qua che tutto si realizza poco a poco, pezzo a pezzo. Forse sì, dovrei avere i diritti d’autore. La giustizia, la tv, l’ordine pubblico. Ho scritto tutto trent’anni fa”. Successivamente, a pochi mesi dalla pubblicazione del mio articolo Il Discepolo 1816, Gelli si spinse addirittura a dichiarare che oggi l’unico che può andare avanti e completare il Piano di Rinascita è Silvio Berlusconi.
Cosa c’era di sbagliato? Tutti hanno diritto ad avere la propria visione del tessuto sociale e possono esercitare la loro influenza per modificarlo a proprio piacimento. La politica in fondo è proprio questo. Tuttavia, bisogna farlo seguendo le regole della democrazia: si dichiarano pubblicamente le proprie opinioni, si cerca il consenso e infine si espletano le operazioni di voto. Se lo si fa clandestinamente, dichiarando ufficialmente obiettivi che in realtà ufficiosamente sono tutt’altro, dando quindi solo l’illusione di un processo democratico ma realizzando i propri scopi qualunque sia l’esito del voto, allora stiamo realizzando un piano sovversivo. In Italia abbiamo un governo guidato da qualcuno che in passato ha partecipato a un piano sovversivo.
L’asservimento del Quarto Potere
Perché non gli viene contestato? Perché a contestarlo dovrebbe essere l’informazione, il cosiddetto quarto potere. Nelle democrazie compiute, e in molti paesi avanzati, funziona esattamente così. I giornalisti sono la vera opposizione. Sono demandati dal popolo per scovare le magagne, addentare le caviglie dei governanti e verificare che le promesse elettorali vengano realizzate. Senza nessuna accondiscendenza, senza nessuna piaggeria. E’ necessario, bisogna essere cattivi, perché il potere è una tentazione forte per chiunque, va contenuto per evitare che cresca a dismisura. In Italia, invece, le domande sono scomparse. I più grossi salotti giornalistici, come quello di Bruno Vespa che fa 11 milioni di telespettatori a sera, sono posti dove i governanti vengono invitati, tra musiche accattivanti, soffici divani, scrivanie, spesso in totale assenza di qualsiasi contraddittorio, neppure finto. Cioè senza nessuno oltre all’intervistato e all’intervistatore. I potenti vengono lasciati parlare, declamando le proprie verità, compiacendosi del proprio operato… “Oh… quanto sono bello”! Oh… quanto sono bravo!”. A volte l’illusione del contraddittorio si realizza aggiungendo al presepio qualche fac-simile di giornalista che si guarda bene dal porre una qualsiasi domanda scomoda. Avete mai sentito un giornalista andare da Silvio Berlusconi a chiedergli se è vero che aveva la tessera n°1816 del Piano di Rinascita Democratica? Eppure dovrebbe essere una questione di fondamentale importanza, estremamente più centrale di mille banalità sulle quali viene inspiegabilmente posto l’accento. Le domande sono scomparse perché il Piano di Rinascita Democratica si è compiuto: il quarto potere è stato asservito.
Come è stato ottenuto questo scopo? Tanto per cominciare è stato costruito un network di televisioni commerciali che ci hanno ipnotizzato, ci hanno addormentato, ci hanno abituato a veline riprese con inquadrature che partono dalle caviglie e solo incidentalmente arrivano al volto. La nostra capacità di riflessione critica è stata impoverita dal bombardamento di programmi trash, come i reality-show. Ogni tanto qualcuno timidamente alza la voce. Recentemente un famoso regista di reality-show ha dichiarato che la sua categoria è pagata per addormentare le coscienze. L’ha detto e gli è stato dato un trafiletto minuscolo. Ovvio: abbiamo tre televisioni commerciali che fanno capo ad uno stesso cittadino, più tre televisioni di stato che sono politicizzate, lottizzate dal governo in carica. La prima cosa che un governo fa subito dopo l’avvio del suo mandato è destituire tutta la dirigenza Rai e sostituirla con i propri pupilli. Ma che motivo c’è di sostituire una classe dirigente di un organo di informazione pubblica? Se sento la necessità di rimuovere un direttore di TG e sostituirlo con un altro, è ovvio che la nuova nomina sarà più vantaggiosa nei miei confronti. Il solo accostare la parola vantaggio alla parola informazione dovrebbe far rabbrividire! E infatti, quando ci fu lo scandalo delle papi-girls e delle prostitute a palazzo Grazioli ne parlò solo La Repubblica, ma nessun telegiornale. Un telegiornale pubblico di un grande stato democratico quale dovrebbe essere quello italiano, nella sua edizione di punta non dice che il Presidente del Consiglio è al centro di una bufera etico-morale-giudiziaria. Poi possiamo essere d’accordo o meno. Io mi occupo di informazione e non voglio avere l’esclusiva sull’interpretazione dei fatti, ma voglio che quello che accade lo sappiate. Non siete un popolo di pecore, ma persone che devono decidere da sole rispetto alle proprie opinioni. Non è possibile che un telegiornale, un organo di informazione non informi rispetto a notizie di questa spropositata grandezza.
Qualcuno conosce Europa7? [ndr: nessuno] Questa è già una risposta! Dieci anni fa uscì la gara di appalto per la concessione delle frequenze televisive. Qualcuno le vinse, qualcuno le perse. Le perse Rete4 e le vinse un signore che investì milioni di euro per realizzare gli studi televisivi più grandi d’Europa: Francesco Di Stefano. Il suo network di emittenti regionali, per il quale aveva chiesto l’assegnazione di frequenze nazionali, si chiamava per l’appunto Europa7. Se voi fate una lotteria e io vinco, arrivo e mi date il premio. Di Stefano vinse le frequenze ma nessuno gliele ha mai date. Perchè? Perché l’informazione televisiva è una proprietà privata dell’oligarchia al potere. Mediaset fa capo a Silvio Berlusconi. La Rai, quando lo stesso è al governo, pure. E anche quando non è al governo – vedi intercettazioni Berlusconi-Saccà. La7, che insieme a MTV-Italia costituisce il cosiddetto terzo polo, è controllata da Telecom Italia Media, che detiene anche oltre la metà delle quote di MTV-Italia e controlla l’agenzia di stampa APCOM. In questo contesto sconfortante, l’unico che potrebbe magari arrivare, smuovere un po’ di polvere e dire non-si-sa-bene-che-cosa è Francesco Di Stefano, che avrebbe dato voce a tutte quelle persone che non si sentono sugli organi di informazione tradizionali. E’ per questo motivo che da oltre dieci anni questo signore combatte battaglie legali di ogni ordine e grandezza, arrivando fino alla Corte di Giustizia Europea e vincendole tutte. A Graham Watson, che si è occupato del caso per conto del parlamento europeo, venne fatto chiaramente capire dall’allora Ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni – Governo Prodi II: l’oligarchia è trasversale e l’alternanza illusoria – che meglio sarebbe stato per Di Stefano accettare un rimborso spese, perché le frequenze non l’avrebbe mai avute. A causa di questa condizione di evidente illegalità, l’Europa ci ha messo perfino in mora: seppure un signore abbia legittimamente partecipato a un bando pubblico e vinto una concessione governativa, non gli permettiamo di accendere i ripetitori, non gli permettiamo di arrivare nelle nostre case perché qualcuno, e non voi, teme il contenuto delle sue trasmissioni.
La speranza della rete
L’unica cosa che non era prevista nel Piano di Rinascita Democratica era la rete. Si parlava di conquistare la televisione via cavo perché allora era l’unico scenario tecnologico prevedibile: nessuno poteva immaginare i passi da gigante che i decenni a venire avrebbero fatto fare alle nostre possibilità di comunicazione. La rete consente alle persone di parlarsi, di comunicare individualmente, senza avere concessioni, senza avere licenze, senza avere un direttore editoriale che filtra ogni cosa, che decide cosa si può dire e cosa no. La rete consente a tutti di realizzare quel meraviglioso sogno di conoscenza condivisa che ci permette di unirci, di passarci informazioni di prima mano. E’ come stare al bar, ma un bar immenso dove tutti possono partecipare, seguirsi con attenzione, discutere, interagire, memorizzare le informazioni importanti, confrontarle e raggiungere nuove conclusioni. Questo non era assolutamente previsto, e sta creando dei grossi problemi.
Il terremoto visto dal basso
Io mi trovavo in Abruzzo quando successe il disastro del terremoto. Il sei di aprile, il primo giorno dopo la catastrofe, sono andato a L’Aquila per vedere con i miei occhi e raccogliere le prime testimonianze.
[IL RESTO DELLA TRASCRIZIONE VERRA’ PUBBLICATO QUANTO PRIMA]
constatare che i contenuti cambiano a seconda delle situazioni, mentre il permanere di linee coerenti rende praticabile qualsiasi salotto della comunicazione a mio avviso.