
A oltre due anni di distanza dal crollo del Ponte Morandi è stata depositata la perizia definita come il documento più importante prodotto dal momento del disastro ad oggi.
La corrosione e la mancata manutenzione per oltre trent’anni
Si tratta del risultato di un lungo lavoro di analisi effettuato da quattro periti incaricati dalla Procura di Genova per individuare una volta per tutte le cause che portarono al crollo del Ponte di quel 14 agosto 2018. Vediamo quindi cosa hanno scoperto i periti nella loro analisi.
La causa scatenante il crollo è la corrosione della parte sommitale del tirante della pila 9, che ha mostrato un’evidente e gravissima forma di corrosione nella zona di attacco con l’antenna, una corrosione che ha avuto luogo in zone di cavità e mancata iniezione formatesi nella costruzione del ponte.
Insomma il Ponte Morandi è crollato a causa di un grave processo di corrosione di uno dei tiranti, parte fondamentale della struttura. E come mai nessuno si è accorto di questo? I periti rispondo anche a questa domanda. Leggiamo che:
Dal 1993, quando fu fatto l’ultimo concreto intervento di manutenzione del ponte non sono stati eseguiti interventi che potessero arrestare il processo di degrado e questi controlli con elevata probabilità avrebbero impedito il verificarsi dell’evento.
Da Maastricht al Governo D’Alema: una scia di responsabilità
Quest’analisi ci consegna quindi un indizio temporale ben preciso per comprendere meglio l’origine della responsabilità di un disastro che poteva e doveva essere evitato. Il 1993 coincide infatti in Italia con la stagione dei grandi tagli alla spesa pubblica e delle privatizzazioni degli asset strategici, con l’obiettivo di rientrare nei parametri di debito pubblico stabiliti proprio l’anno prima, nel 1992, con la ratifica del Trattato di Maastricht.
Da quell’anno in avanti il controllo statale su Autostrade, nonché gli investimenti, si sono ridotti come conseguenza della firma di quel trattato, fino ad arrivare alla vendita dell’asset al gruppo Atlantia nel 1999. L’allora Governo D’Alema, con il decisivo contributo dei Ministri Ciampi e Amato, procedette alla vendita del pacchetto di maggioranza all’unico soggetto offerente, e cioè il gruppo facente capo alla famiglia Benetton, per incassare circa 2 miliardi e mezzo di euro. Una cifra che non servì minimamente a ridurre il rapporto debito/Pil italiano ma che cambiò la storia di Autostrade.
I nuovi proprietari di autostrade, seguendo la classica logica del profitto, avrebbero quindi trascurato la manutenzione per tenere alta la soglia degli incassi. Insomma privatizzare i profitti e socializzare i rischi, ma c’era da aspettarselo. C’è quindi una trama invisibile che inizia nel 1992 e arriva fino al 14 agosto del 2018 e rappresenta la tragedia degli ultimi trent’anni italiani, dove i responsabili si trovano tra affaristi senza scrupoli e politici complici.
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